Alleati in segreto: come l’allenatore personale sta rivoluzionando la Premier League
13 ottobre 2025

Che cosa fa esattamente l’allenatore personale?
Nel calcio della Premier League, i club investono in tecnologie all'avanguardia, staff specializzati e programmi di potenziamento per restare competitivi. Eppure, dietro le luci del presente, sta emergendo un protagonista spesso invisibile: l’allenatore personale dei giocatori.
Una quota crescente di stelle ricorre a sessioni private al di fuori della rutina di squadra, per affinare dettagli tecnici e lavorare su aree di debolezza difficili da correggere durante gli allenamenti collettivi.
Quando l’allenamento privato incontra la realtà del club
Secondo la BBC, questa figura si diffonde rapidamente tra i protagonisti della Premier League. Molti atleti ritengono che un lavoro mirato offra libertà di analisi e precisione sui particolari che non emergono nei ritmi normali.
Tra i nomi più noti c'è Ryan Hooper, che ha collaborato con il capitano del Manchester United Bruno Fernandes e con Diogo Dalot, oltre a aver lavorato con Marcus Rashford, ora in prestito al Barcellona. Accanto a lui, centinaia di colleghi hanno costruito una carriera autonoma in Gran Bretagna.
Rischi, cooperazione e sicurezza
Questi tecnici svolgono un lavoro metodico: prima osservano, rivedono partite e situazioni ricorrenti per identificare i momenti decisivi. L’obiettivo è trasformare schemi ripetitivi in fiducia e scelte consapevoli nelle partite.
Per esempio, Hooper racconta che Rashford, durante una pausa internazionale, non era stato convocato dalla nazionale. L’osservazione mirava a riconoscere zone di vantaggio e a riproporle in allenamento; al ritorno in club ha segnato tre reti in due gare.
Ma il lavoro non è solo tecnica: è una questione di sicurezza, routine e adattamento al contesto. L’obiettivo resta tradurre i progressi in prestazioni reali, evitando sovraccarichi o infortuni, soprattutto se il club è coinvolto.
Il tema genera tensioni: alcuni club vedono di buon occhio questa libertà, altri preferiscono controllarlo tutto internamente. Sam Allardyce ha detto che è utile che le squadre siano al corrente: lavorare in segreto può aumentare lo stress e gli infortuni se c’è mancanza di coordinazione.
Hooper concorda: la cooperazione è la chiave. Se la società è aperta, tutti ne traggono beneficio. L’allenatore personale resta un supporto, non un sostituto della dirigenza, e occorre ricordare che incidenti, come una distorsione alla caviglia, possono capitare anche fuori dal controllo.
Tom King, esperto del settore, ricorda che gli allenamenti sono pianificati con l’approvazione del club e del team tecnico. Se arriva una lesione, la responsabilità ricade su chi ha organizzato l’attività: la sicurezza resta la priorità.
Così l’allenatore personale diventa una sferza segreta della modernità calcistica: stimola l’ambizione individuale e la disciplina professionale, ma accende anche dibattiti tra innovazione e rischio nei corridoi della Premier League.
Punchline 1: Se l’allenatore personale è invisibile, è perché è entrato in campo con una tessera “Non disturbare, sto lavorando sull’angolo cieco”.
Punchline 2: E alla fine la squadra vince grazie a due cose: la tattica di gioco e la capacità di convincere tutti che l’allenamento privato è solo una curiosità da social, non una fuga dal club.