La Francia cambia rotta: Deschamps si adatta alla nuova generazione di talenti
9 ottobre 2025

La Francia contro una nuova generazione: l’allenatore si mette in ascolto
Il commissario tecnico della nazionale francese Didier Deschamps sostiene di dover imparare a convivere con la nuova generazione di giocatori internazionali, invece di imporre loro le sue idee, per evitare artifici o giovanilismi forzati.
A 56 anni, che guida la Francia dal 2012 e ha vinto il Mondiale come giocatore e capitano nel 1998 e come allenatore nel 2018, Deschamps osserva durante la sua lunga gestione l’evoluzione del carattere e dell’umore dei ragazzi.
In un’intervista all’agenzia AFP, prima delle sfide di qualificazione europee del Mondiale 2026 contro Azerbaigian e Islanda, ha detto che “i giocatori hanno acquisito maggiore sicurezza in se stessi.”
La differenza tra la generazione odierna e quella del passato
Oggi, i giovani hanno una fiducia in loro stessi superiore, si conoscono tra loro avendo giocato insieme in club o in categorie giovanili nazionali, e sono cresciuti già molto prima, talvolta all’estero.
Alcuni restano riservati, ma meno timidi. In passato i giovani eseguivano solo ciò che veniva richiesto; ora sono più a loro agio, pronti a prendere posto, e a volte si muovono verso l’estero molto presto.
Hai notato evoluzioni anche dal 2012 ad oggi?
Hai raccontato che la nuova generazione tra i compagni come Lloris, Giroud e Griezmann, nonostante l’operare all’estero, adottavano ancora alcuni schemi del passato. In passato, si entrava in campo con poco o nessun intervento, la gioia di stare con i professionisti; ora è diverso; è come il mondo del lavoro: arriva un giovane e gli si dice: “eccoti il tuo posto.”
Questo può apparire arroganza o ambizione, ma è normale nel mondo del coaching: cambiare è parte dell’attività.
Hai modificato il tuo modo di parlare nel tempo?
Preferisco dialoghi brevi e concreti: durante i miei giorni da giocatore la musica era pesante; qui si vuole che si presti attenzione a ciò che si dice. Non racconto troppo del mio passato; è la loro vita, non la mia. Ho imparato dalla mia esperienza e mi adatto, e potrei dire che sono diventato più calmo: un cambio di ruolo tra chi è più vecchio e chi diventa giovane, per far emergere i talenti di entrambi.
Non è una frase poetica: è una questione di age tra vecchio e nuovo, e il ponte che permette di far emergere i talenti di entrambi i lati.
Gli allenamenti e stile di comunicazione?
Le conversazioni sono sempre brevi e precise: preferisco che mi ascoltino, non essere “la musica che va suonata”. A volte si parla del mio passato ma non è utile per loro: la loro vita è ora e qui. Ho imparato a scambiare le idee nel dialogo e a cambiare di conseguenza. Detto in breve: tu cambi, o resti dove sei.
Mi trovo più sereno: cambiare è inevitabile, come scambiare ruoli tra chi invecchia e chi diventa giovane. Così si riducono i divari tra chi è nato nel club e chi arriva da fuori.
Hai modificato il tuo stile nel tempo?
Preferisco rapporti brevi e concreti: non voglio essere una musica all’ennesima potenza, voglio che mi ascoltino. Non racconto molto del mio passato: è la loro vita. Ho imparato dall’esperienza e mi adatto; sono diventato più calmo, e questa è forse la chiave per far emergere i talenti di chi arriva da fuori.
La gestione è come un turno di guardia: cambiare è parte dell’arte, e permette di colmare il divario tra chi nasce qui e chi arriva dall’estero. La filosofia è semplice: conoscersi, fidarsi e proseguire insieme.
Qual è l’impatto sui giovani includendoli nella squadra?
Se un giovane entra in Nazionale, gli do spazio per sbagliare perché può arrivare in alto. Invito spesso i talenti a raduni multipli, per conoscere la persona prima di parlare al giocatore, e per comprendere la sua storia e persino la sua vita privata. Così posso parlare con precisione e supportare la sua crescita. C’è anche un costante confronto tra raduni.
Hai davvero cambiato i tuoi dialoghi con il passare degli anni?
Preferisco dialoghi brevi e chiari: prima ero abituato a discorsi lunghi, ora preferisco che mi ascoltino. Potrei dire che ho imparato a non raccontare troppo del mio passato: è la loro vita, e io imparo da loro. L’obiettivo è adattarsi, diventando una guida che colma la distanza con i giovani.
In definitiva, sono più tranquillo e considero il cambiamento come una componente fondamentale del lavoro. È come diventare vecchi amici con i più giovani, per far crescere insieme il talento della squadra.
Punchline finale: la vera tattica, dopotutto, è non far impazzire i ragazzi con selfie e inviti a cene su Clairefontaine – o almeno provarci, tra una convocazione e l’altra.
Punchline finale 2: se la fiducia è la miglior marcia della squadra, allora il primo appuntamento dei giovani è con il telefono: chissà quante notifiche serviranno per segnare il primo gol della stagione.